LASCIATE OGNI PENSIERO O VOI CH’INTRATE
LASCIATE OGNI PENSIERO O VOI CH’INTRATE di Nicolás Arispe
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Al centro di Lasciate ogni pensiero o voi ch’intrate c’è un sogno, o meglio un incubo: tutto quello che accade, accade nel sogno della protagonista. Vi si entra passando attraverso una cortina di gufi, animali notturni per eccellenza, e la dimensione onirica è immediatamente percepibile nell’andamento impressionistico delle scene, prive di ogni vincolo razionale tra l’una e l’altra, e il cui unico filo conduttore è la fuga costante di una donna-uccello.
Il meccanismo è sempre lo stesso, e riprende lo schema classico di introduzione-svolgimento-conclusione: la donna-uccello incappa in una situazione opprimente (di volta in volta mostri marini, sabba di streghe, minacciosi uccellacci neri ecc.), e nel tentativo di fuggire cade infinite volte in una nuova trappola senza mai riuscire a risollevarsi. Fino al risveglio.
N: Ho cercato di conferire al racconto un’atmosfera da incubo.
Ogni volta che la donna-uccello riesce a scappare da una scena, rimane intrappolata in quella successiva. L’idea mi è venuta da un quadro di Jean-François Millet, Contadine che portano fascine di legna. Inizialmente avevo pensato di narrare i sogni di questi personaggi costretti a un lavoro sfiancante. Ma poi ho finito per invertire il punto di vista, e l’estenuante lavoro nei campi di quelle donne si è trasformato nell’incubo di qualcun altro.
Ed è lì che è entrata in scena la figura dell’uccello. L’idea, di per sé, è semplice: il terribile incubo della donna-uccello è fatto dei tormenti della nostra vita quotidiana. L’uccello, la donna-uccello, popola il suo incubo con quella che è la nostra realtà di tutti i giorni (l’emarginazione nel momento in cui viene espulsa dalla civiltà, lo stigma sociale di cui soffrirono le donne accusate di stregoneria, la paura della morte, il carcere, rappresentato dalla reclusione all’interno della grotta di Bomarzo, il terrore di fronte agli aspetti più incontrollabili della natura, come ad esempio la caduta nelle profondità degli abissi, l’angoscia per il tempo che scorre).
Ovviamente tutti questi tormenti sono raccontati attraverso metafore: è il contesto stesso dell’incubo che ce lo consente. La stessa frase che dà il titolo all’opera, “Lasciate ogni pensiero o voi ch’intrate” – anticamente incisa sulla Bocca dell’Orco del Parco dei Mostri di Bomarzo, dove ora invece si può leggere “Ogni pensiero vola” – invita a entrare nel territorio dei sogni, un territorio che esula dal dominio della ragione, del pensiero, della coscienza.
N: Ma c’è un’altra cosa interessante in questa frase: si tratta di un ordine. Non possiamo scegliere come entrare in questo territorio, né possiamo scegliere di non sognare.
Tutto ciò che accade alla protagonista del libro è irrazionale e, in un certo senso, surreale. Il pensiero logico è rimasto fuori. Quanto all’orco del Parco di Bomarzo, è entrato nel libro da una parte perché mi ha fornito questa idea e questa frase (ovviamente derivata da Dante), dall’altra perché sono ossessionato dal manierismo italiano: credo che il manierismo in quanto stile rappresenti sempre un momento di rottura nel modo di rappresentare, che si esprime tramite l’alterazione dei canoni stabiliti – me ne sono servito anche in passato. Ad esempio, in La madre e la morte/La perdita, cito la grotta del Buontalenti nella scena in cui la madre attraversa la montagna. Sono anni che studio il Parco dei Mostri di Pirro Ligorio, allo scopo di trarne qualche opera, prima o poi. In questo caso ho avuto la possibilità di includere l’orco, che è forse il più famoso dei suoi mostri. Aprendo gli occhi (il che paradossalmente significa entrare nel sogno), la donna-uccello si trova circondata da una massa pulsante di gufi, che la schiacciano e le impediscono di muoversi. Chi sono? Dove si trova? Stacco di scena, e la vediamo entrare nella ciminiera di una fabbrica, da cui improvvisamente sbuca in un quadro di De Chirico.
Ma subito precipita, tra Arpie che la inseguono e la mordono, e precipitando cade in mare e si inabissa tra creature spaventose e dai denti aguzzi che sembrano volerla divorare. E poi caverne oscure, streghe, malefici uccelli neri, diavoli e inquietanti inquisitori, in un mondo asfissiante e angosciante da cui non desideriamo che fuggire insieme a lei.
Questo susseguirsi di scene contiene un’infinità di riferimenti e citazioni, che attingono alla storia, alla storia dell’arte, al cinema e alla storia del costume: le Arpie in volo (che rappresentano l’angoscia per il tempo che scorre inesorabile) ricordano la figura della Morte nel Settimo sigillo di Bergman; le creature marine che la minacciano in fondo al mare dialogano con i mostri di Matthias Grünewald. Dalle profondità marine la donna-uccello emerge da un fonte battesimale, per ritrovarsi attorniata da un consesso di creature austere e terribili che sembrano uscite dalla Congiura dei Boiardi di Ėjzenštejn.
A cacciarla sono ora delle guardie vestite con abiti che ricordano i costumi teatrali realizzati da Malevič. Nel passaggio dal passato al presente, il destino della donna-uccello rimane lo stesso. Sbuca quindi dalla bocca dell’Orco del Parco dei Mostri di Bomarzo, ma solo per finire tra le grinfie di un sabba di streghe (immagine della donna vittima del conformismo e della società), rappresentate secondo le modalità tipiche dei trattati medievali contro la stregoneria. E da ultimo la scena centrale dell’opera, quella in cui la donna-uccello viene sfruttata come contadina nei campi.
N: Le citazioni non seguono un ordine cronologico né logico. Da un po’ di tempo a questa parte, mi sono avvicinato alle idee di Georges Didi-Huberman, secondo il quale trovarsi davanti a un’immagine significa trovarsi davanti al tempo. A suo avviso le immagini, salvate nella memoria e nell’inconscio collettivo, ritornano ciclicamente nelle varie epoche e culture, a seconda dei bisogni delle società.
Mi interessa leggere queste immagini in due sensi: come arcani (ovvero come sintesi di determinati fenomeni sociali e culturali: le streghe, gli animali, la morte, il diavolo ecc.) e come schema di riflessione (la condizione della donna nelle diverse epoche, quella dei lavoratori – come nel caso della contadina – o la rappresentazione dell’ignoto – come nei bestiari medievali – ecc.) Lavoro con questi riferimenti perché credo che ciascuno rimandi a qualcosa che il lettore ha già nella propria testa e in cui può riconoscersi (o scontrarsi) nel momento in cui si imbatte in tali riferimenti. Come in altri libri (La madre e la morte, dove la madre è per metà volpe, o Il libro sacro, dove Abramo e Isacco sono per metà orso, Ezechiele per metà toro, Giona per metà volpe ecc.), la protagonista è un essere zoomorfo, in questo caso metà uccello e metà donna. È un tema ricorrente nell’opera di Arispe, affascinato dal modo in cui le favole riescono a trasmettere una morale attraverso gli animali, facendo ricorso a una simbologia pesantemente intrisa di stereotipi, un tema già sviscerato anche nella postfazione al Libro sacro.
N: Da un lato, gli animali sono stati i protagonisti di innumerevoli favole, che a me interessano come genere letterario in quanto pongono questioni morali in maniera piuttosto diretta. Dall’altro, nel corso della storia delle immagini gli animali sono parte di una tradizione che li vede impersonare determinati stereotipi: l’asino è stupido, il maiale è ingordo, il leone è maestoso, il corvo ingannatore, la volpe intelligente e maliziosa ecc. Sono molto affascinato dalla creazione di questi stereotipi, in cui è possibile osservare i riflessi del pensiero e dei pregiudizi della produzione culturale. Per quanto mi riguarda, cerco di usare questi stereotipi a volte in positivo e altre in negativo, a seconda di ciò che desidero raccontare. In La madre e la morte, ad esempio, la madre è una volpe, così come Giona nel Libro sacro. Entrambi i personaggi sono però lungi dall’essere astuti. Sono intelligenti, questo sì: desideravo contrastare l’idea secondo cui l’intelligenza andrebbe di pari passo con una certa cattiveria. Nel caso della protagonista di Lasciate ogni pensiero…, ho scelto un uccello che in Argentina chiamiamo Benteveo común. Si tratta di uccelli molto diffusi, che popolano in migliaia di esemplari sia le città sia le campagne, e chi ama dormire li odia, perché iniziano a cantare molto presto la mattina. Per me, in un certo senso, rappresentano la massa, l’individuo comune. Incrociati con una delle contadine di Millet, incarnano una figura popolare. E poi, ovviamente, gli uccelli vengono immediatamente associati al concetto di volo, di libertà, un elemento che aggiunge tensione alla figura della lavoratrice incatenata. Il dipanarsi dell’incubo della donna-uccello procede dall’inizio alla fine senza parole, per lasciare spazio a una fantasmagoria di immagini che si incalzano l’un l’altra nel consueto bianco e nero dell’autore, un’idea che pare essersi fatta largo fin dall’inizio della lavorazione al libro.
N: Già da due libri a questa parte ho invertito il mio processo di lavorazione. Un tempo, prima scrivevo e poi disegnavo. Nel libro precedente a Lasciate ogni pensiero… ho cambiato metodo: prima ho disegnato tutta la storia e poi ho scritto i testi. E ora mi sono spinto ancora oltre, scegliendo di prescindere completamente dal testo. Ho fatto qualche schizzo, composto le scene e il soggetto, poi sono passato ai disegni. Ci sono stati momenti in cui ho pensato di aggiungere un testo. Ma tentativo dopo tentativo sentivo che le parole non apportavano nulla, e che la storia fluiva meglio senza. Credo che in un certo senso il silenzio, che è certamente una risorsa del testo (così come della musica), contribuisca a dare alla storia una maggiore tensione drammatica e un senso di vertigine. Per quanto riguarda la tecnica, ci troviamo ancora una volta di fronte allo splendido, dettagliato e raffinatissimo bianco e nero a penna a cui Arispe ci ha abituati da tempo, impreziosito da uno stile che di volta in volta sembra modellarsi sui soggetti rappresentati (da cui il quadro di De Chirico, le streghe che richiamano molto da vicino le xilografie che illustravano i trattati medievali, ecc.) N: La mia tecnica è molto semplice, uso tre strumenti: un portamina da 0,5 mm con grafite dura, una gomma per cancellare e una penna Rotring da 0,2 mm.
Lavoro sempre sullo stesso supporto: fogli Fabriano ruvidi da 160 g/m2. Per ogni pagina che intendo realizzare, sviluppo sempre il progetto in piccoli quadri. Per ogni progetto faccio moltissimo lavoro di ricerca, accumulando immagini, film, testi, note di diario ecc. Questa montagna di informazioni è una sorta di calderone che mi porta a sviluppare le immagini. Dopodiché disegno a grafite sui fogli (già nel formato definitivo) e infine ripasso tutto a penna. Fondamentalmente, lavoro con trame e superfici, tratteggiando, dando molta importanza alla composizione, ovvero all’equilibrio e alla dinamica di ogni immagine in funzione di ciò che racconta. Quando ripasso a penna le illustrazioni, la prima cosa che faccio, mantenendo il bianco del foglio, è applicare il tono più scuro che ho intenzione di usare. Questo ha la funzione di definire il ventaglio di luci e ombre che utilizzerò in ogni immagine. Di recente sulla mia pagina Facebook ho postato alcune immagini in cui è possibile vedere questo procedimento.
Da ultimo una domanda aperta: nelle scene finali del sogno, la donna-uccello incontra una versione gigante di sé stessa, che lavora come schiava nei campi. La protagonista la libera, e l’aguzzino si vendica avvolgendola in un vortice di personaggi inquietanti e minacciosi. Nelle tavole successive, l’uccello, che non indossa più abiti da donna, si risveglia nel proprio nido. Resta però un dubbio: chi ha vinto? L’oppressore o la ribelle donna-uccello?
N: Ah… questo è difficile a dirsi… Resta a discrezione di ogni lettore… Il sogno era dell’uccello. Potremmo dire che, svegliandosi, si libera perché esce dall’incubo. Ma ricordiamoci che il suo incubo è in realtà composto da ciò che di terribile popola la nostra realtà e la nostra storia. E in questo caso, noi, riusciamo a vincere contro ciò che ci opprime durante la veglia? Forse, al contrario di ciò che accade all’uccello, a volte ci riusciamo in sogno… o no?
Focus a cura di Valentina Vignoli
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Nicolás Arispe è nato nel 1978 a Buenos Aires e si è formato presso l’Instituto Universitario Nacional del Arte (IUNA). Insegnante, autore e illustratore di libri per ragazzi, ha lavorato per alcune riviste e fanzine e ha realizzato copertine di CD e storyboard per film d’animazione. Collabora con varie case editrici argentine e i suoi fumetti sono apparsi su diverse riviste, tra cui Suda Mery K!. Con #logosedizioni ha pubblicato La madre e la morte / La perdita, Il Libro sacro, e Lasciate ogni pensiero voi ch’intrate