INTERVENTI CRUCIALI
INTERVENTI CRUCIALI
di Richard Barnett
Eroica, umanitaria, scientifica, sperimentale, disinteressata, democratica, quasi divina: sono tutte parole usate dai chirurghi per descrivere la loro professione a cavallo tra il XIX e il XX secolo. Il loro entusiasmo è comprensibile: nei decenni precedenti, la chirurgia aveva attraversato una fase di progressi rivoluzionari che ne avevano trasformato radicalmente la natura e la percezione da parte di addetti ai lavori e opinione pubblica. I professionisti altamente qualificati in camice bianco che operano in ambienti asettici con l’ausilio di anestesia e strumenti raffinati rappresentano un privilegio di cui i pazienti possono godere da appena un secolo. Prima le cose erano molto diverse, ma soprattutto erano rimaste pressoché immutate per duemila anni, tanto che il medico greco antico Galeno non avrebbe avuto problemi a riconoscere buona parte delle pratiche e degli attrezzi in una sala operatoria ottocentesca. I cambiamenti non rimasero confinati all’interno di istituti e ospedali, ma ebbero anche profonde conseguenze sul piano socioculturale: i chirurghi conquistarono finalmente il prestigio tanto ricercato e i concetti stessi di malattia, dolore e medicina subirono una sostanziale reinterpretazione.
Ma come avvenne questa rivoluzione? E perché proprio in quell’epoca? Quali furono le tappe che segnarono il passaggio dal mestiere artigianale del cerusico alla pratica scientifica del chirurgo?
Ce lo spiega nel dettaglio lo studioso Richard Barnett nel suo libro Interventi cruciali, ultimo di tre volumi dedicati alla storia della medicina pubblicati da #logosedizioni (completano la serie Il sorriso rubato – sull’evoluzione dell’odontoiatria e della figura del dentista dalla preistoria ai giorni nostri – e La Venere anatomica – sulle statue di cera realizzate tra il XVIII e il XIX secolo per l’insegnamento dell’anatomia umana). Suddivisi in capitoli che procedono dalla testa ai piedi, i testi avvincenti e istruttivi sono accompagnati da centinaia di splendide e spesso perturbanti illustrazioni di tecniche e strumenti chirurgici tratte da rari manuali d’epoca, provenienti per lo più dall’archivio della Wellcome Collection, museo gratuito con sede a Londra il cui obiettivo è indagare, attraverso reperti, attrezzature e opere d’arte, i rapporti tra scienza, medicina, vita e arte nel passato, presente e futuro.
La chirurgia affonda le sue radici nell’attività dei kheirourgos, medici dell’antica Grecia che effettuavano anche interventi di tipo conservativo come steccatura delle fratture, medicazione delle ferite e applicazione di salassi. L’aspetto pratico della professione non cambiò fino alla prima età moderna; ciò che invece mutò – a partire dal Medioevo – fu la sua inquadratura nell’ambito della medicina e della società. Se nell’antichità classica la chirurgia era considerata come parte integrante della pratica medica, tra l’XI e il XII secolo la comparsa delle università in Europa spinse gli eruditi professori di medicina a distinguersi in maniera sempre più netta dal mestiere “artigianale” della chirurgia. Nel frattempo, i chirurghi cittadini formavano corporazioni con i barbieri, dal momento che entrambe le categorie si servivano di strumenti affilati per operare sui loro clienti.
Fu solo nella Francia del XVIII secolo – in piena epoca illuminista – che cominciò a emergere l’idea di una “chirurgia scientifica” come professione appropriata per un gentiluomo, in opposizione alle pratiche meccaniche di cerusici e barbieri. I chirurghi cominciarono a veder riconosciuto il proprio ruolo all’interno degli ospedali e sui campi di battaglia, e i più autorevoli tra loro riuscirono a raggiungere la parità professionale con i medici. L’insieme delle nuove idee e tendenze che sorsero nella capitale francese a cavallo della Rivoluzione prende il nome di “Scuola medica di Parigi” ed ebbe importanti conseguenze sullo sviluppo successivo della chirurgia nel mondo occidentale.
Uno dei momenti culminanti del progresso scientifico in ambito chirurgico fu l’introduzione dell’anestesia, negli anni Quaranta del XIX secolo. In realtà, le proprietà narcotiche di gas come il protossido di azoto e l’etere erano già state scoperte nei decenni precedenti, ma il loro utilizzo nelle sale operatorie non fu immediato per una serie di fattori. In primo luogo, l’atteggiamento culturale nei confronti del dolore era ambivalente: per il Cristianesimo, infatti, esso rappresentava una prova divina da sopportare con la forza della fede, e non un male da eludere. Anche i chirurghi illuministi, poi, temevano che lo stato di incoscienza dei pazienti impedisse loro di riprendersi con vigore dalle operazioni. Inoltre, gli inalatori dell’epoca non permettevano un controllo preciso del dosaggio, perciò il rischio di causare gravi danni ai malati era alto. C’era poi chi si chiedeva se l’anestesia avrebbe reso i soldati più timorosi e suscettibili al dolore, o se i chirurghi avrebbero operato con minor cura su pazienti incoscienti. Nel giro di due decenni, comunque, la maggior parte delle preoccupazioni e delle difficoltà tecniche fu superata e la pratica dell’anestesia fu ampiamente adottata in Europa e negli Stati Uniti.
Un altro problema che affliggeva i chirurghi nel XIX secolo erano le infezioni post-operatorie, che nonostante i progressi continuavano a essere fatali per un gran numero di persone. Negli anni Sessanta, prendendo spunto dalle teorie del chimico e microbiologo francese Louis Pasteur, il chirurgo britannico Joseph Lister giunse alla conclusione che a causare la cancrena fossero batteri presenti nell’aria che entravano a contatto con la ferita. Cominciò dunque a utilizzare il fenolo, un potente disinfettante, per lavare mani e strumenti e irrorare la sala operatoria, riscontrando un forte calo nei tassi di mortalità. Era l’affermazione dell’antisepsi, che tuttavia dovette affrontare una serie di ostacoli: i vapori di fenolo, infatti, potevano risultare insopportabili e causare tossi e dermatiti.
A mano a mano che cresceva l’importanza attribuita all’igiene nelle città e negli ospedali, vennero sviluppati metodi sempre più efficaci per ridurre il rischio d’infezioni. Sulla base delle idee del medico tedesco Robert Koch, apparvero diverse tecniche riunite sotto il nome di “asepsi” che consistevano nello sterilizzare strumenti, materiali e vesti con il vapore. L’asepsi, insieme all’anestesia, permetteva ai chirurghi di raggiungere un alto livello di controllo su infezioni e pazienti, e di considerarsi dunque alla stregua di scienziati. Di conseguenza, anche le sale operatorie dovevano somigliare più a laboratori; ecco allora che scomparvero i teatri in cui un tavolo di legno era circondato da file di posti a sedere per gli spettatori, sostituiti da sale pulite e silenziose, con pareti piastrellate e tavoli di acciaio o di vetro, ben illuminate e ventilate, a cui potevano accedere solo i partecipanti all’intervento.
A occuparsi di igiene negli ospedali era anche la nuova schiera di infermiere professioniste generata dalla rivoluzione nell’assistenza infermieristica della metà del XIX secolo. La figura di spicco di tale rivoluzione fu la britannica Florence Nightingale, proveniente da una famiglia agiata e ben introdotta in società, che dopo un’esperienza nell’ospedale di Scutari durante la guerra di Crimea si occupò della formazione delle infermiere (tramite la fondazione di una scuola apposita a Londra) e del miglioramento dell’assistenza ai pazienti, facendone una professione rispettabile per le figlie della classe media. In questo modo, tra l’altro, cominciò il sovvertimento del monopolio maschile all’interno degli ospedali. Sempre a partire dalla metà del XVIII secolo nacquero le prime associazioni nazionali di categoria per i chirurghi e venne riformato l’insegnamento con nuovi istituti e corsi di studio specialistici che rilasciavano le qualifiche necessarie per l’esercizio della professione. Inoltre, sulla base delle idee della Scuola di Parigi, secondo le quali i diversi tessuti del corpo si danneggiavano in maniera differente, e in opposizione alla medicina classica, i cui esponenti si consideravano eruditi generalisti che si occupavano di ogni aspetto della condizione umana, si assistette in questo periodo a una sempre maggiore specializzazione dei chirurghi. C’era quindi chi si concentrava su una fase specifica della vita, come i pediatri e gli ostetrici; su un apparato particolare, come gli ortopedici e i neurologi; su un singolo organo, come gli oculisti e gli epatologi; oppure su una determinata procedura, come la correzione della balbuzie o dello strabismo. In un mercato professionale molto affollato, la specializzazione garantiva ai giovani maggiori possibilità di impiego e di carriera.
All’inizio del XX secolo, dunque, la chirurgia aveva ormai assunto un volto nuovo, molto più simile a quello odierno rispetto a una manciata di decenni prima. I chirurghi, a loro volta, videro definitivamente riconosciuto il proprio prestigio, tanto che due di loro vinsero il Nobel per la medicina nel primo decennio di esistenza del premio. Si guardava al futuro con ottimismo, ma il passato non era stato solo una serie di successi e grandi conquiste. Le cure sperimentali eseguite sui campi di battaglia e sui pazienti più poveri erano state fondamentali per il progresso scientifico, ma avevano anche causato indicibili sofferenze spesso inutili sulla base di smodate ambizioni o di teorie poi rivelatesi infondate. È giusto quindi ricordare il prezzo pagato dai nostri antenati per permettere a noi oggi di sottoporci a un intervento chirurgico con uno spirito e una fiducia impensabili fino a poche generazioni fa.
Focus a cura di Federico Taibi
Immagine del banner: Dipinto commissionato da Henry Wellcome e realizzato nel 1912 da Ernest Board
che raffigura una delle prime operazioni con anestesia eseguite dal chirurgo Robert Liston nel Regno Unito.
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Richard Barnett è uno scrittore e insegnante che collabora con radio e televisioni su tematiche riguardanti la storia culturale della scienza e della medicina. Terminati gli studi di medicina a Londra, si è votato alla storia e insegna nell’ambito del Pembroke-King’s Programme a Cambridge. Nel 2011 gli è stata conferita una delle prime Wellcome Trust Engagement Fellowships, e ha all’attivo diversi interventi alla televisione e alla radio nel Regno Unito e negli Stati Uniti. Il suo primo libro, Medical London: City of Diseases, City of Cures, è stato nominato Libro della settimana da BBC Radio 4, mentre il successivo The Sick Rose è stato definito da Will Self “superbamente chiaro ed erudito”. Con #logosedizioni ha pubblicato Il sorriso rubato, dedicato alla pratica odontoiatrica.
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