MIA MADRE
MIA MADRE di Emmanuelle Houdart e Stéphane Servant
Una bambina parla di sua madre, soffermandosi su vari aspetti della sua personalità: l’umore mutevole, il grande amore di cui è capace, le asperità del suo carattere, la sua voglia di avventura e i suoi momenti di malinconia. La bambina sente che la madre a volte si allontana e teme di perderla ma, infine, la donna la rassicura con parole affettuose.
MIA MADRE è un libro che investiga il rapporto tra madre e figlia unendo un testo poetico a immagini dal sapore esotico. Ma si tratta di un lavoro che si offre a diversi livelli di interpretazione e in particolare ci porta a riflettere sulla figura della donna. Già da molti anni il suo ruolo tradizionale è stato messo in discussione ma allo stereotipo dell’angelo del focolare rischia di sostituirsi un nuovo cliché di superdonna, ovvero colei che non solo riesce a svolgere queste mansioni ancora ritenute tipicamente femminili ma al tempo stesso eccelle nello studio e nel lavoro e riesce perfino a trovare il tempo di tenersi in forma e magari di impegnarsi in attività politiche o artistiche. Quante volte abbiamo letto articoli dedicati a intellettuali, musiciste, scrittrici, onorevoli o simili in cui si puntualizza che la donna in questione riesce comunque ad allevare un numero congruo di figli? Questa immagine, che mi piace definire del “femminile performante”, viene ad affiancarsi alla vecchia icona di madre e moglie, mai realmente tramontata, e rischia di essere altrettanto pericolosa. Chiamate a dividere il proprio tempo tra la cura domestica e il lavoro, spinte a svolgere una vertiginosa molteplicità di compiti, le donne spesso soccombono alla stanchezza, alla percezione della propria inadeguatezza e soprattutto ai sensi di colpa.
Per questo la madre a cui è dedicato il libro di Emmanuelle Houdart e Stéphane Servant è una figura rivoluzionaria. Già l’immagine orientaleggiante di copertina, che la ritrae con gli occhi chiusi, le labbra pronte al bacio, i capelli che si trasformano in radici e variopinti uccellini sul capo, presenta un elemento dissonante: le mani, ingentilite dallo smalto rosso, sono sporche. Potrebbe averle macchiate lavorando in cucina o in giardino, o nel corso di una delle avventure che la vedranno protagonista nelle pagine a venire. Di certo è una donna che qualcuno definirebbe “imperfetta”, poiché non è del tutto in ordine: ben truccata per la copertina, ha trascurato nondimeno un dettaglio importante. Nell’immagine successiva, quella del risguardo anteriore, ritroviamo la donna ancora di profilo (una costante del libro) intenta a leggere una storia alla bambina che tiene in grembo. Madre e figlia si trovano in un nido e intorno a loro si moltiplicano i volatili: i motivi presenti sulla veste della donna, l’uccellino in volo al di sopra del libro, un pinguino sul bordo del nido, indeciso tra restare o partire, e l’airone che si leva alto nel cielo. Chi è l’uccello che lascerà il nido? Con ogni probabilità la madre, non la bambina, perché la piccola ha gli occhi immersi nel volto dell’altra, mentre quest’ultima li tiene fissi innanzi a sé, oltre le pagine del libro che sta leggendo. Il suo sguardo si colloca esattamente a metà tra l’airone in volo e il pinguino che esita, due animali simbolici in cui si sdoppia (più avanti appariranno la lupa e la volpe, tradizionali emblemi di intelligenza e astuzia).
Il dualismo è un elemento ricorrente fin dai primi versi: Mia madre ha il cuore tra la luce del sole e il buio della notte. Nella stessa pagina, la madre pronta a partire ha come bagaglio una spada e alcuni gomitoli, che alludono alla compresenza dei ruoli che la tradizione attribuisce rispettivamente all’uomo e alla donna. Un tema portato avanti nell’illustrazione seguente, che la vede partire verso misteriose avventure a bordo di un mostro affascinante. Lei lo cavalca sferruzzando, con una ferita che le squarcia la gamba alludendo forse a qualche combattimento già avvenuto, e anche il mostro è duplice: ha un viso angelico ornato da ali e un altro volto di uccello dagli occhi rapaci e un paio di corna vermiglie. La madre riunisce in sé tratti maschili e femminili, è guerriera e dedita alle mansioni domestiche, ma è tutt’altro che una superdonna. Infatti un nonnulla cambia il suo riso in festa e la sua tristezza in tempesta. Anche lei è preda di momenti di sconforto, di tristezza e non nasconde le sue debolezze. La vediamo sorridere e piangere, ci appare libera in volo o chiusa in una gabbia. È una figura complessa e irrequieta, lontanissima dalle immagini edulcorate o dalle quasi-deificazioni che la spersonalizzano mostrandocela statica, rassicurante, perennemente dedita agli altri.
Anche lei ha bisogno ogni tanto che qualcuno la curi e la conforti come si vede nella bellissima immagine che la rappresenta come un giardino in cui fiorisce l’amore ma non mancano spine e piante selvatiche. Ribaltando i ruoli tradizionali, qui sono la figlia e il padre a occuparsi di lei, delle sue piante che con pazienza hanno imparato a coltivare. Nel tipico stile di Emmanuelle Houdart, le illustrazioni dalle linee precise e i colori brillanti sono sempre ricche di piccoli dettagli che, come in un quadro di Chagall, si precisano solo a uno sguardo attento. Ogni immagine richiede tempo per essere letta a fondo e rappresenta in sé una piccola storia nella storia. Qui i temi che creano coesione a livello visivo sono il dualismo di cui si è già detto, il motivo del viaggio, il dialogo di sguardi tra madre e figlia che coglie con grande finezza tutte le sfumature emotive. In fin dei conti si tratta di una storia d’amore ma la vera novità è che l’amore della madre non è scontato: l’inquietudine si intreccia alla dolcezza e la bambina ha costantemente paura di essere abbandonata. Ma c’è un lieto fine anche se l’angoscia non scompare mai del tutto: il libro termina con pochi dolcissimi versi in cui la madre dichiara il proprio amore alla figlia e con due immagini piene di tenerezza. La bambina capisce che la madre la ama e si tranquillizza, ma ormai ha imparato a conoscerla: sa che continuerà a spingere lo sguardo oltre, a sognare, a soffrire e ad aver bisogno a sua volta di amore e di cura. In questo piccolo gioiello di arte e poesia, i due autori si sbarazzano da un lato dell’immagine storica della donna come madre tranquillizzante, immobile e santa, dall’altro del nuovo mito contemporaneo della superdonna. Una lezione per moltissime persone di qualunque età.
Focus a cura di Francesca del Moro
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“Nella mia vita sono accadute un sacco di cose meravigliose e terribili, come in quella di tutti. E questo è ciò che disegno, il meraviglioso e terribile.”
Pittrice e illustratrice, Emmanuelle Houdart è nata nel 1967 in Svizzera. Diplomatasi alla Scuola d’Arte di Sion e all’Ecole Supèrieure d’Arts Visuels di Ginevra, si è poi trasferita a Parigi. Oltre a collaborare con diversi giornali e quotidiani (Libération, Le Monde, Sciences et Vie Junior, Ça m’intéresse… ), ha all’attivo una decina di libri di cui ha curato testo e immagini. Una ventina invece i volumi per ragazzi che ha illustrato. Il suo è uno stile del tutto personale caratterizzato dall’uso di colori pieni e decisi, che delinea un mondo fiabesco ma estremamente concreto e reale.
Nel 2003 ottiene il Premio Octogone, categoria Grafica (CIELJ), per Les Choses que je sais. Due anni più tardi viene premiata alla Fiera del libro per ragazzi di Bologna, per Monstres malades. E nel 2006 le viene assegnato il Gran Premio (libri per ragazzi) della Società dei letterati francesi per Les Voyages merveilleux de Lilou la fée.
Con #logosedizioni ha pubblicato: Va tutto bene Merlino!, Amiche per la vita, Il denaro, Saltimbanchi, Il guardaroba, Genitori felici, Una lunga storia d’amore, Rifugi, Emilia Mirabilia, Mia madre, Mostri malati, Il mio pianeta e Sfilata di Natale.Un calendario dell’avvento.
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