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LONDRA VISTA CON GLI OCCHI DEL CERCATORE DI MERAVIGLIE

Una chiacchierata con Ivan Cenzi e Carlo Vannini a proposito di London Mirabilia

 

London Mirabilia è il secondo volume di una serie di guide ‘alternative’ a mete turistiche celeberrime come Parigi o Londra. Ivan, puoi raccontarci come è nato questo progetto e in che misura si lega al lavoro che stai portando avanti con il tuo blog e con gli altri libri che hai pubblicato? Perché hai scelto di partire proprio da queste due città?

IVAN: La collana Mirabilia nasce dalla constatazione che alcuni resoconti di viaggio, che avevo pubblicato sul mio blog, rimanevano tra i preferiti e tra i più consultati dagli utenti anche a distanza di anni. Capita anche spesso che qualche lettore in procinto di recarsi all’estero mi contatti per chiedermi se conosco qualche luogo bizzarro che valga la pena visitare, nei dintorni della sua meta.
Mi rimanevano quindi due opzioni: aprire un’agenzia turistica, o pubblicare una collana di guide!
Scherzi a parte, il mio lavoro si avvale da sempre della meraviglia come ‘chiave’ per indagare i territori liminali, i margini della cultura e della norma – in una parola, tutto ciò che è insolito. I luoghi che propongo nelle guide seguono quindi lo stesso principio: li ritengo dei veri e propri passaggi verso realtà differenti da quella quotidiana, in grado di suggerire riflessioni molto singolari.
La scelta di cominciare le mie ricognizioni da Parigi e Londra nasconde una motivazione molto più prosaica: sono semplicemente le capitali europee che conosco meglio (assieme a Roma, che è la mia città d’adozione).

Nel libro definisci Londra “città multipla”. Cosa intendi con questa espressione?

IVAN: Mentre Parigi ha una personalità definita e molto riconoscibile, Londra mi è sempre sembrata un magmatico caleidoscopio di diversità. In questo senso pare racchiudere una moltitudine di differenti dimensioni, non soltanto dal punto di vista sociale, storico o architettonico: anche il suo lato offbeat, quello bizzarro e meno risaputo, è estremamente vario. Con London Mirabilia abbiamo cercato di dare conto di questo aspetto portando il lettore attraverso ‘modalità’ di incanto molto distanti tra loro. Siamo passati da un antico teatro chirurgico, che ancora risuona delle grida dei pazienti operati senza anestesia, a un eccentrico ristorante dalle scenografie barocche e teatrali; da un pub che conserva in un armadio le prove ammuffite di una tragica vicenda a una casa d’artista tra le più raffinate.

The Old Operating Theatre Museum & Herb Garrett

Con quale metodo e sulla base di quali criteri hai selezionato le location? Si tratta perlopiù di luoghi che già conoscevi o li hai scoperti in fase di ricerca? È possibile raggruppare i luoghi scelti in tipologie ben precise?

IVAN: Conoscevo già la maggior parte delle location, ma devo dire che anche le poche su cui ho scommesso, basandomi unicamente sulla ricerca, si sono rivelate azzardi vincenti.
Quanto alle tipologie e ai criteri di selezione, mi sono imposto un unico vero principio: scelgo solo luoghi che offrano emozioni fuori dall’ordinario anche nel momento in cui il lettore li visita fisicamente.
Esistono diverse guide ai misteri o ai segreti delle varie città, ma fateci caso: il più delle volte parlano di cose di cui non si può fare esperienza. «Piazza ***** è stata il teatro di macabre vicende alla fine del Seicento…»; magari è tutto interessante e scritto benissimo, ma lo posso gustare tranquillamente sul mio divano, senza andare di persona in quella piazza dove non vedrei altro… che una piazza.
Invece le guide dovrebbero idealmente far venire l’acquolina in bocca, e invogliare al viaggio. Per questo i luoghi che mi piace proporre nella collana Mirabilia consistono in altrettante declinazioni di wunderkammer, e la descrizione che fornisco non è che un assaggio di quello che aspetta il visitatore.

L’incipit del primissimo capitolo ci invita a immedesimarci con qualcuno che cammina per strada e a un tratto si ferma, richiamato da un dettaglio sorprendente. Come mai hai deciso di iniziare proprio con il Pollock’s Toy Museum e come hai scelto l’ordine delle 17 tappe del viaggio?

IVAN: Un museo del giocattolo è un portale perfetto per cominciare il viaggio, per accedere all’incanto. O, meglio, per ri-conoscerlo: i giocattoli sono in grado di riportarci allo stato di meraviglia che provavamo quando eravamo bambini. Lo sguardo infantile – non necessariamente innocente, ma capace di sorprendersi – è qualcosa che tutti abbiamo ancora dentro di noi, e si tratta di uno strumento che è fondamentale imparare a sfruttare all’occorrenza. Il cercatore di meraviglie in fondo è un eterno senex puerilis.
L’ordine delle tappe potrebbe non avere in fondo tutta questa importanza; ciononostante, io immagino sempre di decidere la scaletta di un album. Un pezzo rock’n’roll, poi un lento, qualcosa di allegro seguito da una melodia magica e sospesa… anche in questi accostamenti si cerca di privilegiare la varietà, creare un certo ritmo, una musicalità.

Pollock’s Toy Museum

Nell’introduzione, scrivi che Londra è una città che vive di contrasti. Tra i luoghi da te presentati, ce ne sono alcuni che esemplificano particolarmente bene questo concetto?

IVAN: In effetti le tappe che ho scelto, in lungo e in largo per la città, richiedono al lettore una certa ginnastica dello stupore. Come Londra stessa.
Penso ai fragili ventagli del Fan Museum, la cui raffinata fattura lascia senza parole, e ai due musei in cui si può ammirare il pesante acciaio delle macchine da guerra che solcavano mari e cieli nella Seconda Guerra Mondiale. E mi stupisco sempre di come gli uomini sappiano creare oggetti bellissimi e delicati, ma anche strumenti di crudele devastazione.

I tuoi testi sono sempre molto coinvolgenti e si situano in qualche modo al confine tra la saggistica e la narrativa. Sembra di leggere una sorta di diario di viaggio. Quali linee guida ti sei dato per raccontare al meglio ciascun luogo?

IVAN: La collana Mirabilia, nella mia visione e in quella dell’editore, non doveva essere una semplice serie di guide turistiche, ma un viaggio nell’insolito incanto, come recita il sottotitolo di ogni volume.
Ho quindi tentato di raccontare cosa si prova nel varcare per la prima volta la soglia di questi posti fantastici. Nessuna linea guida, dunque, se non un perenne cruccio o, per meglio dire, una sfida a fronte della meraviglia che io stesso provavo: “Come far sentire, o perlomeno intuire, tutto questo al lettore?”.

Facendoci viaggiare con la mente, il libro ci porta a vivere una serie di esperienze molto diverse l’una dall’altra. Qual è stata per te la scoperta più sorprendente? E quale il momento più emozionante?

IVAN: Uno dei posti più incredibili di Londra è senz’altro il Museum of Curiosities, la camera delle meraviglie di Mr. Wynd. Per me la sorpresa non sta tanto nel luogo in sé, che conosco bene da anni, quanto nel fatto che anche dopo esserci stato numerose volte scopro sempre qualche nuovo dettaglio. La collezione di Viktor è sterminata, e risente del suo gusto irriverente per l’accumulo anarchico: quando sì è lì, immersi tra scheletri a due teste, animali mummificati, teste rimpicciolite dell’Ecuador, coralli, paperback dai titoli improbabili e oggetti deliranti come i preservativi dei Rolling Stones, è impossibile percepire davvero ogni sottigliezza alla prima visita.
Invece il momento più intenso, in cui sono rimasto senza fiato, è stato quando siamo arrivati al capannone dove è ubicato il God’s Own Junkyard, un’enorme collezione di luci al neon. Il gestore ci ha fatti entrare al buio, per poi accendere tutte le insegne contemporaneamente. Immagino che sia uno dei suoi trucchetti preferiti, per godersi la meraviglia che si dipinge sul volto del visitatore. Di colpo, io e Carlo siamo stati investiti da un’esplosione di colori – non avevo mai provato in vita mia un sovraccarico sensoriale e visivo di simile portata.

God’s Own Junkyard

Come si evince in particolare da alcuni capitoli, ai fini della scrittura sono stati importanti gli scambi con i proprietari o gestori dei luoghi selezionati. Che genere di reazioni hai potuto riscontrare da parte loro? C’è stato qualche incontro in particolare che ti ha lasciato il segno e di cui vuoi parlare a titolo di esempio?

IVAN: Mentre Carlo è impegnato a realizzare i suoi magnifici scatti, passo sempre del tempo a chiacchierare con i gestori o i proprietari. Si tratta spesso di un momento fondamentale, non soltanto perché chiaramente conoscono molto meglio di me la storia e le peculiarità della location, ma anche perché da quegli scambi di solito riesco a intuire quale potrà essere il mio contributo, cosa potrò apportare di originale, in quali punti il mio sguardo ‘esterno’ ed ‘estraneo’ si discosta dalla narrativa già assodata del luogo.
Per fare un esempio, mentre la gentilissima curatrice del Petrie Museum mi spiegava l’importanza straordinaria della collezione, d’un tratto mi sono reso conto che non aveva minimamente fatto cenno alla particolarità del museo che più mi affascina: il fatto che una buona parte dei pezzi esposti abbiano soltanto un numero di riferimento bibliografico, ma nessuna targhetta che permetta di comprendere cosa siano. Nonostante non manchino certo i cartelloni didattici per i ritrovati più significativi, il museo è organizzato secondo un percorso accademico-filologico, pensato innanzitutto per gli esperti di egittologia (come la curatrice, appunto, che forse non ci faceva nemmeno più caso). Ma per un profano, accedere a questa collezione è un’esperienza spiazzante e affascinante: si può giocare a indovinare la funzione di un certo monile decorato, o il significato simbolico di una determinata statuetta. E di colpo ci si trova nei panni dei primi esploratori che rinvennero questi manufatti, e dovettero venirne a capo. Questo è ciò che rimane quando una civiltà scompare: frammenti da mettere insieme, come tessere di un puzzle. Così il museo ci insegna al tempo stesso la storia dell’Egitto e dei pionieri dell’egittologia.

Anche attraverso questo tipo di confronto, hai avuto modo di constatare che genere di pubblico frequenta questi luoghi? E in che misura sono conosciuti e frequentati dai turisti stranieri? Credi che potrebbero esistere anche altrove o il fatto di essere a Londra è parte integrante del loro carattere?

IVAN: Ci sono posti piuttosto frequentati e altri molto più ‘esoterici’, noti soltanto a una ristretta schiera di aficionados. Nella guida ho voluto inserire perfino un sito tra i più visitati di Londra, la nave da guerra HMS Belfast, ed è chiaro che il pubblico che fa la fila per vedere i suoi cannoni e le sue sale macchine non è lo stesso che si spinge per esempio fino a Brentford per ascoltare un imponente, antico organo meccanico suonare da solo, così come pochi sanno che dietro la facciata di un edificio storico di Craven Street si nasconde una delle più grandi e magnifiche collezioni al mondo di strumenti relativi all’occhio umano e alla medicina oculistica.
Allo stesso modo, alcuni posti sembrano distillare l’essenza della capitale più di altri. Nel volume, per esempio, propongo due tra i cimiteri più significativi di Londra: le città che costruiamo per i defunti sono la versione speculare di quelle dei vivi. I luoghi di sepoltura sono sempre dei libri aperti sulla storia. Aggirandosi fra le lapidi smosse e inghiottite dalla vegetazione a Tower Hamlets o Abney Park, è possibile scoprire una parte essenziale del passato della City.
E una geniale follia come quella delle “macchine a gettoni satiriche” create da Tim Hunkin per il suo Novelty Automation non può che essere inglese. Alcuni dei suoi giochi sono pervasi da una vena surreale di British humour così politicamente scorretto che Tim non avrebbe mai potuto realizzarli altrove.

In che senso è cambiata la tua percezione di Londra, se è cambiata, dopo questo viaggio?

IVAN: La mia percezione della città non è cambiata affatto. Potrò tornarci mille volte, ma Londra ai miei occhi rimarrà sempre un gigantesco e meraviglioso enigma.

Carlo, questo libro è il settimo che hai realizzato insieme a Ivan Cenzi per #logosedizioni. Come vi siete incontrati e quali sono i punti forti del vostro sodalizio?

CARLO: È stata Lina Vergara di #logosedizioni a farci incontrare. Nel 2013 ho tenuto una piccola mostra dal titolo “MEMENTO” presso il laboratorio orafo di un’artista  di Reggio Emilia. Erano fotografie molto interpretate, scattate con iPhone e lavorate con Snapseed, stampate in piccolo formato 10 x10 cm e installate in mezzo ai gioielli. La mostra ha suggerito a Lina Vergara l’idea di farmi collaborare con Ivan fotografando per la collana Bizzarro Bazar. Come in tutti i rapporti di lavoro, l’importante è essere consci del proprio ruolo e della propria professionalità. Ivan è il curatore, la ‘mente’, io eseguo lasciando che sia lui a guidarmi nella scelta dei soggetti che meglio si legano al suo testo, ma ho anche ampia libertà di fotografare ciò che mi colpisce. Finito il lavoro della giornata, la sera a cena ci lasciamo andare alle riflessioni. Lavorare con Bizzarro è sempre una piacevole sorpresa, non sai mai dove ti sta portando! Parafrasando Forrest Gump, “Bizzarro è come una scatola di cioccolatini, non sai mai cosa ti capita”.

The Fan Museum

Quale attrezzatura e quali tecniche hai usato durante le sessioni fotografiche? Che tipo di lavoro hai svolto in fase di post-produzione per ottenere i risultati che vediamo nel libro?

CARLO: Ho usato un’attrezzatura che definisco da ‘combattimento’, cioè macchine veloci e leggere tipo mirrorless, piccoli generatori flash a batteria sempre molto leggeri, torce a luce led diretta – che a volte concentro ancora di più usando delle griglie –, 4000 lumen 5500K o filtrate con filtri di conversione quando l’ambiente da fotografare ha temperatura cromatica più bassa di 3000/3400K. Uso torce e flash quasi esclusivamente per schiarire, mai come luce portante, per non alterare l’atmosfera della luce ambiente. Utilizzo anche grandi panni neri sostenuti da supporti veloci auto-costruiti, allo scopo di neutralizzare i vetri nel caso dei (tanti) soggetti che si trovano all’interno di teche che non si possono aprire. Ogni volta che posso, utilizzo solo la luce ambiente.

Abbiamo lavorato a queste guide con ritmi serrati e ho dovuto fotografare luoghi molto eterogenei, cosa che mi ha lasciato poco tempo per pensare. Mi sono dunque principalmente affidato all’istinto. Ovviamente scatto in Raw, sviluppo con Camera Raw e a volte con Capture One. Esco a 16 bit, come spazio di lavoro in Photoshop uso ProPhoto, faccio molti interventi e uso molti gradienti, che poi porto a 8 bit alla fine convertendo in Adobe RGB 1998. Alla fine faccio un’altra conversione in CMYK previa Soft Proof di controllo per la tipografia. Uso contrasti zonali, fusione di livelli sviluppati differentemente, maschere di luminosità e talvolta plug-in per la separazione frequenze. Vado molto a sensazione, ma adotto sempre un approccio metodico da poter applicare anche ad altri lavori.

Con Ivan avevate già stabilito esattamente cosa andare a fotografare o vi siete lasciati ispirare di volta in volta?

Ivan Cenzi individua i luoghi e ha un progetto ben chiaro in mente. Io cerco di rilassarmi durante gli spostamenti, per concentrarmi al massimo quando arriviamo in location. Giro un po’ dappertutto, faccio una veloce valutazione della luce sul momento e decido sempre rapidamente come e cosa fotografare. A volte mi resta il rammarico di non avere avuto più tempo per osservare bene e fotografare ancora. Nei soggetti si entra poco alla volta e la foto migliore è sempre quella ancora da scattare.

Il tuo “occhio fotografico” ha individuato un’anima di Londra, un denominatore comune a tutti i luoghi, pur così eterogenei, che avete visitato? Se sì, quale pensi che sia, e come hai cercato di renderlo nelle tue fotografie?

Non sono io a decidere i luoghi da fotografare. Anche se sono a conoscenza della lista iconografica prima di partire, ogni volta è sempre una sorpresa con Ivan. Il denominatore comune dei luoghi visitati? È appunto lui… Ivan “Bizzarro” Cenzi.
Trasmettiamo emozioni e sensazioni solamente a chi ha già quella particolare emotività dentro di sé. Amo i toni ‘cupi’ e il nero. Non sopporto il ‘chiarismo’ in fotografia (che oggi va così di moda), prediligo toni scuri e profondi perché li sento più evocativi e, considerando la tipologia dei soggetti della collana, li trovo più adatti. Purtroppo i toni ‘cupi’ possono dare problemi in fase di stampa, quindi cerco di essere cauto, non scendendo sotto il valore di luminosità 15/17 nelle parti più in ombra. Anche il nero di fondo permette ai soggetti di risaltare maggiormente: non a caso Franco Maria Ricci, con il quale ho avuto il piacere e l’onore di lavorare, ha sempre usato molto il nero. Il nero avvolge, il bianco circonda e abbaglia. Il nero è forte, il bianco elegante e glamour. Il nero si addice a questa collana, il bianco ammazzerebbe i soggetti. Fate una prova: mettete su bianco una fotografia di queste…

Intervista a cura di Francesca Del Moro

Immagine del banner: Leighton House Museum

 

 

Da non perdere! Presentazione di LONDON MIRABILIA alla libreria MIRABILIA il 9 novembre alle 18 con Ivan Cenzi.

 

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